Nel diritto italiano il contratto concluso tra gestore del porto turistico (o marina) e cliente, non trovando alcuna specifica regolamentazione né nel codice civile, né in quello della navigazione (che si limita a dettare norme sulla professione di ormeggiatore – art. 116, comma 1, n. 4, c. nav. e 208 ss. reg. nov. mar.), è normalmente inquadrato come un c.d. contratto di ormeggio, ossia un contratto atipico a forma libera caratterizzato da una struttura minima essenziale consistente nella messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali ed assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo.
Le prestazioni rese dalle marine ai propri clienti possono spingersi fino alla fornitura di servizi ulteriori come ad esempio: fornitura di acqua, energia elettrica, viveri, prestazioni di agenzia marittima, organizzazione di escursioni, alaggio, riparazione o manutenzione dell’unità da diporto.
In questo ultimo caso, il contratto avrà causa locatizia, mentre se le parti hanno anche inteso includere la custodia dell’imbarcazione ivi ormeggiata e la sua restituzione nello stato in cui è stato consegnato, il contratto avrà natura prevalente di contratto di deposito.
Quindi, stante l’ampiezza e la flessibilità dello schema negoziale a disposizione dei contraenti, occorre sempre verificare se le parti abbiano inteso includere fra le obbligazioni del gestore anche quella di custodire il natante e restituirlo nello stato in cui è stato consegnato (con conseguente applicazione della disciplina del contratto di deposito), ovvero abbiano inteso limitare il contenuto del rapporto alla sola messa a disposizione degli spazi acquei (con conseguente preponderanza della causa locatizia).
Naturalmente, spetterà alla parte che intende fondare sul contratto un determinato diritto, nella specie la richiesta di risarcimento del danno per la sottrazione del natante, fornire con ogni mezzo, compreso il ricorso a presunzioni, la prova relativa all’oggetto dell’accordo (v. Cass., Sez. III civile, 13.2.2013, n. 3554).
Segnatamente, potranno essere ritenuti indici presuntivi della previsione dell’obbligo di custodia (tali, pertanto, da ingenerare in capo all’utente un legittimo affidamento in tal senso) la presenza in loco di personale deputato a vigilare sull’accesso all’area (o la predisposizione di corrispondenti sistemi automatizzati), la presenza di recinzioni o sistemi di video-sorveglianza, nonché e soprattutto la consegna da parte del possessore del natante delle chiavi al gestore (v. recentissima sentenza del Tribunale di Venezia, seconda sezione civile, 24.3.2021).
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 03.04.2007, n. 8224[55], hanno chiarito che il contratto di ormeggio presenta una sostanziale affinità con la locazione e in particolare con la locazione del posto macchina, se il suo oggetto è limitato alla messa a disposizione delle strutture e alla loro utilizzazione ai fini dell’ormeggio e della sosta dell’imbarcazione senza alcuna altra prestazione, mentre è assimilabile al deposito se dà luogo all’affidamento dell’imbarcazione agli addetti alla struttura. In pratica, se si vuol individuare la disciplina prevalente applicabile (ormeggio-locazione ovvero ormeggio-deposito) bisogna interpretare l’effettiva volontà delle parti e analizzare le concrete prestazioni rese dall’ormeggiatore.
Tale circostanza non è sempre di facile individuazione, poiché il contratto di ormeggio non è formale e si conclude per facta concludentia (attraverso la consegna materiale dell’imbarcazione). E’ quindi essenziale ricostruire l’essenza degli obblighi dell’ormeggiatore, attraverso l’indagine dei comportamenti tenuti dallo stesso durante l’esecuzione del contratto: l’accertamento della sussistenza e del contenuto del contratto di ormeggio grava in capo a chi ne invoca l’esistenza.
L’ipotesi più ricorrente nella prassi si verifica allorché il contratto di ormeggio sia esteso alla custodia del natante (ormeggio-deposito), con rilevanti ripercussioni si hanno in caso di perdita o danneggiamento dello stesso. In questo caso, la responsabilità dell’ormeggiatore dovrà essere valutata sulla base degli artt. 1218, 1768 e 1780 cod. civ; infatti, i doveri di custodia non restano delimitati al natante nella sua struttura elementare, ma si estendono, salvo patto contrario, a tutte le cose che, pur mantenendo una propria autonomia, siano destinate in modo durevole al suo servizio ed ornamento, costituendone pertinenza, ed in particolare alle attrezzature obbligatorie in forza di legge, di regolamento o di altri atti amministrativi.
L’eventuale patto contrario deve essere provato dal concessionario dell’ormeggio e non dal depositante,
Trattandosi di responsabilità contrattuale, la colpa si presume ed a carico dell’ormeggiatore è posto l’onere probatorio di dimostrare che il fatto non è a lui imputabile. Pertanto, la prova liberatoria consiste nella dimostrazione di aver adottato tutte le precauzioni suggerite dall’ordinaria diligenza, con l’avvertenza che ove il concessionario dell’ormeggio si renda conto della necessità di uno sforzo maggiore rispetto a quello ordinario, egli è tenuto a prestarlo, versando altrimenti in colpa cosciente, ancorché abbia custodito il bene con la diligenza del buon padre di famiglia.
In via subordinata, qualora, nel caso specifico, dovessero riconoscersi gli estremi della locazione, egualmente potrebbe invocarsi la responsabilità dell’ormeggiatore. Invero l’art. 1578, II comma, cod. civ., espressamente prevede “il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivati da vizi della cosa, se non prova di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna”.