Definizione
Il finanziamento delle spese di controversia da parte di terzi (litigation funding o third-party litigation funding TPLF) è una pratica che consente alla parte finanziata di avviare un procedimento, giudiziale o arbitrale, senza doverne sopportare le spese. In altre parole, trattasi di un’operazione di investimento all’interno della quale un finanziatore investa in un contenzioso legale (sia esso giudiziale o stragiudiziale) o in un arbitrato, nel quale non abbia alcun interesse, assumendo su di sé, in tutto o in parte, i costi della lite ed il rischio, in tutto o in parte, della soccombenza (compreso il pagamento delle spese processuali alla controparte).
La selezione da parte dei funders
La selezione degli investitori è molto severa e la causa deve avere almeno quattro caratteristiche.
- Innanzitutto, il contenzioso deve essere di una certa entità economica.
- E’ richiesta una buona probabilità di successo, almeno tra il 60-70 per cento. A tale fine è necessaria una due diligence molto accurata, grazie alla quale i finanziatori devono avere un’idea chiara circa l’esito della controversia.
- La controparte deve essere solvibile. Per questo può essere richiesta l’analisi del piano finanziario della società e se emerge qualche dubbio l’affare non si conclude.
- I tempi devono essere prevedibili, non necessariamente brevi.
Per poter attirare l’attenzione dei Litigation Funders, dunque, la causa deve raggiungere un certo valore, vantare buone possibilità di esito positivo (l’analisi del ROI funge a tale scopo), la controparte deve garantire una certa solvibilità ed i tempi della lite, seppur non necessariamente rapidi, devono potersi prevedere con un relativo margine di sicurezza.
Il contratto di finanziamento, il c.d. litigation funding agreement, può essere piuttosto articolato e complesso e deve includere una sezione apposita che regoli il rapporto in caso di soccombenza, in quanto si tratta di un’area non ancora coperta dalle compagnie assicurative italiane.
Fonti
Questa tipologia di finanziamenti non ha trovato oggi espresso riconoscimento da parte dell’ordinamento italiano e ciò potrebbe dipendere principalmente dal fatto che la pratica negoziale in questione è originariamente sorta nei sistemi giuridici di common law ed è quindi – almeno per il momento – pressoché estranea alla tradizione degli ordinamenti di civil law.
Il litigation funding sottende il divieto del patto di quota lite (ex art. 13 della l. 247/2012, il quale dispone che, seppur la pattuizione dei compensi dell’avvocato sia libera, il professionista non può – pena la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi – concordare con l’assistito un compenso consistente in tutto o in parte nella quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa) ampiamente criticato dalla categoria e ritenuto ormai anacronistico nella propria concezione, il cui ambito di applicazione non sembrerebbe potersi estendere fino ricomprendere anche l’attività del finanziatore professionale.
Ciò per due ordini di motivi:1) la giurisprudenza di legittimità ha specificato che tale divieto è valido esclusivamente rispetto all’attività svolta in sede giurisdizionale dai professionisti abilitati al patrocinio, non inerendo, di contro, altre figure professionali che pur si affiancano al cliente, come ad esempio il consulente del lavoro; 2) il patto di quota lite non costituisce una particolarità della nostra giurisdizione, ma è vietato anche in altri sistemi giuridici, come quelli tedesco e austriaco, i quali, tuttavia, riconoscono pacificamente la possibilità di ricorrere al finanziamento della lite da parte di terzi.
Si ritiene che il contratto di litigation funding possa trovare applicazione in Italia in ossequio al principio generale di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c. e, in particolare, al principio di atipicità contrattuale ex art. 1322, comma 2, c.c.
I vantaggi dell’operazione ed i criteri di selezione dei Funders
In considerazione degli elevati costi della giustizia che rappresentano un forte disincentivo alla richiesta di tutela giurisdizionale, così come anche il rischio dell’esito del procedimento giurisdizionale o arbitrale il finanziamento della lite da parte di terzi rappresenta un incentivo per l’accesso alla giustizia per privati cittadini ed imprese ed allo stesso tempo un meccanismo di risk-transfer dell’esito incerto della lite in capo al finanziatore, il quale effettuerà una approfondita attività di due diligence, al fine di valutare i rischi del finanziamento.
Gli ambiti di maggior interesse per i Litigation Funders in Italia
Gli ambiti di maggior interesse dei fondi internazionali nel mercato italiano sono quello arbitrale, a carattere sia nazionale che internazionale; l’esecuzione di sentenze all’estero; richieste di risarcimento per responsabilità extracontrattuale; i procedimenti nei confronti dello Stato Italiano; le azioni di classe, le procedure concorsuali ed il recupero crediti per società fallite.
Spesso, le piccole e medie imprese, non potendosi permettere i costi di attivazione e di gestione di procedimenti nazionali e soprattutto internazionali, rinunciano alle loro pretese creditorie e per loro, non potendo far fronte al pagamento dei propri debiti, si apre inevitabilmente la strada del fallimento e in Italia i tempi di definizione dei processi sono piuttosto lunghi (soprattutto le controversie civili e commerciali) e le spese per le liti, sia in termini di accesso alla giustizia sia in termini di running costs, sono veramente alte, tanto da indurre le parti in causa – siano esse imprese o privati cittadini – alla vera e propria rinuncia del contenzioso.
La normativa italiana però, non sembra essere adeguatamente al passo, atteso che l’ultima legislazione di riferimento degli arbitrati risalga al 2006. A tale scopo, la Camera arbitrale di Milano ha deciso di intervenire definendo la prassi da adottare quando in un arbitrato istituzionale entra un finanziatore terzo: il nuovo regolamento entrato in vigore lo scorso 1 marzo introduce l’obbligo di dichiararlo, estendendo la disclosure che già riguarda l’arbitro anche all’investitore.
v. anche Arbitrato commerciale internazionale