Questo tipo di accordi sono detti precontrattuali e generalmente si riferiscono a un contratto futuro di cui descrivono obiettivi e caratteristiche, rinviando e condizionando espressamente l’eventuale sottoscrizione al raggiungimento di un accordo su ulteriori dettagli o all’approvazione da parte del management. In realtà, spesso, questi contratti contengono tutti gli obblighi che rendono completo un contratto.
Sarà perciò necessario valutare con attenzione la portata di eventuali “lettere di intenti” quando, a seguito della loro sottoscrizione, uno dei due contraenti deve fare affidamento sugli impegni in essa delineati, in quanto v’è il rischio che non si giunga alla redazione di un valido contratto.
Sebben alcune lettere di intenti contengano disposizioni vincolanti sulla conduzione della trattativa (es. accordi di riservatezza, obblighi di non condurre trattative parallele), nella maggior parte dei casi esse prevedono che, qualora un contratto non sia concluso, non vi sia alcuna responsabilità per le parti. Ciò non significa che venga meno l’obbligo del dovere di buona fede nella negoziazione iniziale.
Nel sistema italiano, l’obbligo di buona fede comporta un dovere di condurre la trattativa con serietà e si considera violato qualora una parte rifiuti immotivatamente di sottoscrivere il contratto, dopo che si è raggiunto l’accordo sugli elementi contrattuali in discussione.
Si pensi ad esempio al caso in cui il committente, in attesa di formalizzare un acquisto, autorizzi il fornitore a procedere con la fabbricazione e questi, per paura di perdere l’affare, inizia quindi le lavorazioni in assenza di un contratto. Qualora non si pervenga poi al perfezionamento dell’ordine, in sede di un eventuale giudizio rileveranno quindi le minute, i verbali di riunione, la corrispondenza intercorsa tra le parti ed il giudice valuterà il rispetto dell’obbligo di buona fede nella trattativa.
Tuttavia, in genere l’accertamento della violazione darebbe origine solo a una responsabilità precontrattuale, limitando il risarcimento al solo danno emergente, cioè ai costi sostenuti per la conduzione della trattativa, senza considerare il mancato guadagno. Se però, al di là delle lettere d’intenti, la corrispondenza tra le parti ha dato luogo all’affidamento del fornitore a causa del suo contenuto, non è da escludere che sia riconosciuto un vincolo contrattuale che comporta maggiori indennizzi in caso di inadempimento.
Sarebbe, pertanto, necessario che le autorizzazioni a procedere prevedano il rimborso dei costi sostenuti e che le parti prevedano clausole del tipo “Letter of Intent only” o “Non binding Letter of Intent” e simili che disciplinano la negoziazione che le parti si apprestano ad iniziare in relazione ad un qualche ipotizzato rapporto contrattuale, senza peraltro assumere alcun impegno o responsabilità nell’eventualità che la negoziazione non vada a buon fine.
Parola di gentleman
I gentlemen agreements meritano un discorso a parte, e di solito non sono costituiti da un documento scritto, ma sono costituiti da garanzie verbali che comportano un impegno sulla parola e l’eventuale sanzione consiste solo nella perdita della credibilità del soggetto che si era impegnato. Tali promesse pertanto non sono vincolanti e generalmente vi si fa ricorso in ambienti ristretti in cui il mancato mantenimento della parola data diviene noto facilmente ai membri di una comunità ristretta (si pensi alle borse di talune materie prime).
Tuttavia, se, pur con tale titolo, degli accordi sono messi per scritto, difficilmente si potrà sostenerne la loro non obbligatorietà invocando che si tratta di gentlmen agreements. D’altra parte, non si può nemmeno escludere che, in casi estremi, un accordo verbale provato da testimonianza e da altri elementi che lo supportino, dia luogo comunque alla prova di un contratto, per quanto l’ipotesi si debba considerare remota, data la scarsa importanza accordata dal diritto alla testimonianza in materia di obbligazioni commerciali.