Negli ultimi anni abbiamo assistito alla crescita dell’attenzione verso la crisi aziendale che rappresenta oggi un fenomeno di grande attualità. In questo contesto, nasce l’improrogabile necessità di prevedere e prevenire il fenomeno della crisi d’impresa, la cui tempestiva previsione può accrescere le probabilità di risoluzione delle problematiche aziendali ed evitare il dissesto.
Con la L. 19 ottobre 2017 n.155, il Governo ha istituito la c.d. “seconda Commissione Rordorf” al fine di realizzare un articolato normativo contenente l’attuazione della delega, dando vita al Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza.
Il CCII è suddiviso in quattro parti e consta, al suo interno, di 391 articoli, alcuni dei quali vigenti dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del d. lgs. 14 gennaio 2019. Tra questi ultimi, l’art. 377 C.C.I.I. introduce un’importante novità in tema di azioni di risarcimento del danno prevedendo un criterio di misurazione del danno risarcibile nel caso in cui gli amministratori della società, al sopravvenire di una causa di scioglimento, violino l’obbligo di gestione conservativa ex art. 2486 c.c., recando pregiudizio alla società, ai soci, ai creditori sociali e ai terzi.
L’art. 377 C.C.I.I. prevede, inoltre che, accertata la responsabilità, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificato lo scioglimento, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione.
La restante porzione del C.C.I.I entrerà in vigore ad agosto 2020 per consentire alle imprese di adeguare le proprie strutture alle innovazioni che la nuova legge promette di introdurre nel nostro ordinamento giuridico.
L’intento del legislatore è quello di creare un testo unico della crisi d’impresa e pervenire ad una riforma complessiva della materia, ispirandosi alle indicazioni fornite dall’Unione Europea ed ai principi elaborati dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL).
Sotto il profilo applicativo, si pongono interrogativi nel rapporto tra il C.C.I.I. ed il Codice Civile mancano operazioni di raccordo con i principi generali contenuti nel Codice stesso.
All’interno del Codice Civile sono, infatti, indicate importanti norme relative agli obblighi dell’imprenditore ed agli obblighi degli organi di controllo dell’impresa collettiva e nel CCII, imprenditori ed organi di controllo sono ora destinatari di obblighi e doveri la cui inosservanza comporterà conseguenze in punto di responsabilità e sanzioni.
Sarà, dunque, necessario comprendere il coordinamento delle due normative, in ragione del fatto che la disciplina del debito, del credito, della responsabilità patrimoniale del debitore e della conservazione della garanzia patrimoniale del creditore sul patrimonio del debitore risiedono nel Codice Civile.
I nuovi significati di crisi, insolvenza e sovraindebitamento
Il Titolo I, Capo I, del nuovo Codice contiene definizioni nuove del concetto di crisi, insolvenza e sovraindebitamento. In particolare, l’art. 2 del C.C.I.I. stabilisce che per crisi si intenda “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.
Sempre all’art. 2 C.C.I.I., per insolvenza si intende “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimento o altri fatti esteriori, i quali dimostrano che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”, e per sovraindebitamento, “lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale“.
Le tre definizioni sopramenzionate, contenute all’art. 2 C.C.I.I., fanno riferimento ai soli profili finanziari e agli aspetti economici e non anche a quelli patrimoniali dell’imprenditore.
La seconda definizione di insolvenza potrebbe essere tratta dal n. 1 del medesimo articolo, in cui si afferma che lo stato di crisi si manifesta nella inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate.
Metro di misura per distinguere la crisi dall’insolvenza sta nella circostanza che nello stato di crisi l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici rende probabile (in prospettiva) l’impossibilità di adempiere, mentre, nello stato di insolvenza, l’inadeguatezza dei medesimi flussi è certa perché attuale e quindi si sostanzierebbe in una vera e propria cessazione dei pagamenti.
Il nuovo art. 2086 c.c.: la gestione dell’impresa
Dopo una breve trattazione sulle questioni di carattere generale passiamo alla disamina su alcune norme in vigore a far data dal 19 marzo 2019.
L’art. 374 C.C.I.I. sugli assetti organizzativi dell’impresa sostituisce la rubrica dell’art. 2086 c.c. con la locuzione “Gestione dell’impresa” e aggiunge: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
Il successivo art. 376 C.C.I.I. sugli assetti organizzativi societari, modifica l’art. 2257 c.c. estendendo a tutti i modelli societari (società di persone e società di capitali) i doveri previsti dal riformato art. 2086, II comma, c.c. (ne consegue la modificazione sistematica degli artt. 2257, 2380 bis, 2409 novies, 2475 del codice civile) e dunque anche alle società semplici.
Sempre l’art. 376 C.C.I.I. inserisce un’ulteriore previsione per tutti i modelli societari (individuati dagli articoli 2257, 2380 bis, 2409 novies, 2475) in virtù della quale spetta esclusivamente agli amministratori la gestione dell’impresa, frustrando l’autonomia statutaria e la flessibilità che da sempre caratterizzano gli assetti societari più semplici.
Tutte le imprese dovranno quindi dotarsi di sistemi informativi e di adeguate piattaforme per poter avere un controllo di gestione dei flussi di cassa, un budget e un piano d’impresa che permettano di rilevare eventuali segnali di crisi e impostare una strategia per riportare in equilibrio economico, patrimoniale e/o finanziario la propria azienda, anche con un apposito piano di risanamento.
L’art. 377 C.C.I.I. rubricato “Responsabilità degli amministratori” modificando l’art. 2476 c.c., prevede oggi, che gli amministratori rispondano verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. La previsione degli obblighi di gestione in capo agli amministratori e l’inosservanza degli stessi produce conseguenze in punto di responsabilità, in merito alla quale il legislatore ha previsto gli strumenti di quantificazione, che consiste nella differenza tra il patrimonio netto alla data dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificato lo scioglimento, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione.
In ultimo merita un accenno l’art. 378 C.C.I.I. rubricato “Nomina degli organi di controllo”, che modificando l’art. 2477 c.c., amplia le ipotesi in cui le S.r.l. sono obbligate alla nomina degli organi di controllo ovvero dei revisori. Se la società non provvede autonomamente alla nomina, potrà farlo “qualsiasi soggetto interessato” anche “su segnalazione del conservatore del registro delle imprese”. Questa previsione si dimostra molto lontana dall’autonomia statutaria e dalla flessibilità tipiche delle società a responsabilità limitata.
Le novità penali introdotte dal Codice
I reati della crisi d’impresa, disciplinati nel titolo IX del Codice della crisi d’impresa (rubricato “Disposizioni penali”), si pongono in linea di sostanziale continuità normativa con le fattispecie penali previste dalla legge fallimentare, salvo l’adattamento lessicale dovuto alla sostituzione dei termini “fallimento” e “fallito” rispettivamente con “liquidazione giudiziale” e “imprenditore in liquidazione giudiziale“.
Le fattispecie penali già contemplate dalla legge fallimentare non sono state abrogate, poiché le nuove disposizioni, con qualche eccezione (articoli 344 e 345, che riproducono le disposizioni della legge 3/2012) riproducono sostanzialmente le corrispondenti condotte incriminate dalla legge fallimentare con la mera sostituzione terminologica di cui si è detto prima.
La disposizione transitoria di cui all’art. 389 prevede che le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo restino disciplinate dalla legge fallimentare, anche agli effetti penali; nella sostanza, per i fatti ad esse relativi continueranno cioè ad applicarsi le disposizioni penali della legge fallimentare.
Le misure premiali penali per l’imprenditore in difficoltà
Tra le novità di maggior rilievo del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza rientra la previsione di misure premiali a favore dell’imprenditore che tempestivamente abbia:
i) proposto l’istanza di composizione assistita della crisi;
ii) chiesto l’omologazione di un accordo di ristrutturazione;
iii) proposto un concordato preventivo o un ricorso per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale.
Causa di non punibilità
In questo specifico contesto, dunque, il comma quarto, primo inciso, dell’art. 25 stabilisce che quando, nei reati di cui agli articoli 322, 323, 325, 328, 329, 330, 331, 333 e 341, comma 2, lettere a) e b), limitatamente alle condotte poste in essere prima dell’apertura della procedura, il danno cagionato è di speciale tenuità, non è punibile chi ha tempestivamente presentato l’istanza all’organismo di composizione assistita della crisi d’impresa ovvero la domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza di cui al presente codice se, a seguito delle stesse, viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti.
Trattasi di una ipotesi speciale rispetto a quella prevista dall’art. 131 bis c.p.
Tale ipotesi, nella parte in cui è ancorata alla speciale tenuità del danno potrebbe, tuttavia, risultare di difficile applicazione a cagione della genericità del parametro evocato (che potrebbe, addirittura, relegarla alla sola ipotesi di assenza di danno), oltre che stridere palesemente con la natura di reato di pericolo dei reati di bancarotta fraudolenta.
Circostanza attenuante ad effetto speciale
Il secondo inciso del quarto comma dell’articolo 25 introduce la previsione di una nuova circostanza attenuante ad effetto speciale, stabilendo che, fuori dai casi in cui risulta un danno di speciale tenuità, per chi ha presentato l’istanza o la domanda la pena è ridotta fino alla metà quando, alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, il valore dell’attivo inventariato o offerto ai creditori assicura il soddisfacimento di almeno un quinto dell’ammontare dei debiti chirografari e, comunque, il danno complessivo cagionato non supera l’importo di 2.000.000 euro.
La lettura di questa norma rende evidente che essa ruota intorno al raffronto quantitativo fra attivo e passivo della procedura, il che restringe il campo di applicazione della circostanza in questione, introducendo un limite in realtà non previsto nella legge delega.
Laddove, il nuovo codice stabilisce una continuità fra l’ambito applicativo della causa di non punibilità prevista dalla prima parte della disposizione e quello della circostanza di cui all’ultimo periodo della stessa, resa evidente dalla clausola di salvezza che apre la disposizione che ci occupa (fuori dai casi in cui risulta un danno di speciale tenuità). Clausola, questa, che esclude dalla applicazione di tale circostanza il caso della speciale tenuità del danno, oggetto invece della causa di non punibilità e segna, al contempo, la identità fra i due ambiti di disciplina.