E’ il tema affrontato dai giudici di legittimità con la sentenza 308/2020 i quali hanno dichiarato la validità di un accertamento di un Comune basato sulle foto raccolte su Google Street View (l’applicazione “gemella” di Google Maps, che consente di navigare virtualmente a piedi o con mezzi motorizzati tra le vie delle città italiane, visualizzando le immagini in “3D”) per dimostrare la persistenza di un cartellone pubblicitario su un automezzo, ai fini della sola imposta sulla pubblicità.
Nonostante le doglianze del contribuente, che ha sostenuto la illegittimità di tale accertamento ritenendo le foto in questione “prive di qualsivoglia ufficialità”, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che la foto costituisce prova precostituita della conformità dei luoghi rappresentati alle cose, rimettendo al contribuente l’onere di disconoscere tale conformità ove intenda inficiarne l’efficacia probatoria.
La norma di riferimento è costituita dall’art. 2712 del Codice civile, secondo il quale il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova alle riproduzioni fotografiche – degradandole a presunzioni semplici – deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, e si deve concretizzare nell’allegazione di elementi che attestino la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (Corte di cassazione, sentenza 24613/2019).
Il tema giuridico rilevante, in realtà, è quello non tanto del valore probatorio delle foto, ma della certezza della data di rilevamento, la cui circostanza non era stata compiutamente contestata dal contribuente in sede di ricorso. Si potrebbe a questo punto obiettare, però, che le foto possono provare una realtà statica (del momento in cui è avvenuto lo scatto), e non certo la persistenza di quella realtà nel tempo.