Impugnabilità dell’estratto di ruolo secondo la sentenza n. 19704/2015. Evoluzione giurisprudenziale.

Con la nota sentenza n. 19704/2015, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: “E’ ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario”.

Tale principio deriva da una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 19 comma 3 del D. Lgs. 546/1992 tale che, la impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato ivi prevista non costituisce l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario sia comunque legittimamente venuto a conoscenza, potendo il contribuente impugnare l’estratto di ruolo.

Tale orientamento che trova origine già nella circolare L 23.4.1996, n. 98/E, che aveva affermato la piena legittimità dell’impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento trattandosi, in entrambi i casi, di titoli esecutivi finalizzati alla riscossionecoattiva, ha trovato conforto anche in successive pronunce secondo le quali il contribuente, qualora non sia stata notificata la cartella di pagamento, e quindi il ruolo, può impugnare l’estratto di ruolo, in riferimento agli atti che vi sono indicati, che è stato rilasciato su sua richiesta al fine di prendere conoscenza del proprio debito.

Il recente intervento del legislatore

Il legislatore, in sede di conversione del D.L. 146/2021, ha introdotto l’art. 3-bis comma 1.
L’art. 3 bis comma 1 ha modificato l’art. 12 DPR 602/1973, aggiungendo il comma 4-bis che così recita: L’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’ art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40,  per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”.

Il legislatore, quindi, in palese contrasto con l’insegnamento delle Sezioni Unite, ha stabilito rigide condizioni per l’impugnabilità dell’atto conosciuto a seguito di richiesta dell’estratto ruolo, così esponendo il contribuente per un lasso di tempo indefinito ad una possibile azione esecutiva dell’amministrazione.

Tuttavia, è ammessa l’impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata soltanto se il debitore che agisce in giudizio dimostra che l’iscrizione a ruolo può procuragli un pregiudizio:

La norma, quindi, limita le possibilità di difesa del contribuente che sono previste in materia di contenzioso tributario laddove l’impugnabilità del ruolo è espressamente prevista dall’art. 19, comma 1, del d.lgs. 32.12.1992, n. 5456, secondo cui “il ricorso può essere proposto avverso: … d) il ruolo e la cartella di pagamento” il cui complemento si rinviene al successivo art. 2, comma 2, secondo cui “la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione dei ruolo”.

Norma di interpretazione autentica e retroattività della norma

Al di là degli evidenti punti di criticità della norma in questione, non si ritiene che essa possa essere considerata di interpretazione autentica. 

Ciò sia per l’espresso richiamo a norme entrate in vigore decenni dopo il D.P.R. 602/1973, sia per il chiaro tenore dell’art. 1, comma 2 della legge 212/2000, ai sensi del quale “L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”.

Una norma di interpretazione autentica è un particolare tipo di legge promulgata per chiarire in modo univoco norme già presenti nell’ordinamento, ma in relazione alle quali esistono dubbi interpretativi.

Di conseguenza, se l’articolo 3 del DL 146/2021 non può configurarsi come una norma di interpretazione autentica, i suoi effetti dovrebbero decorrere dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, non risultando, di conseguenza, retroattivamente applicabile ai giudizi già in corso.

La legge di conversione, come è noto, è entrata in vigore il 21.12.2021.

Alcune Commissioni Tributarie Provinciali (Siracusa, Catania e Latina) hanno ritenuto applicabile con effetto retroattivo la previsione di cui al comma 4 bis, dichiarando l’inammissibilità di ricorsi introdotti in data antecedente il 21.12.2021 per la sopravvenuta carenza di interesse ad agire.

Tali decisioni destano ben più di una perplessità. 

La sopravvenuta carenza di interesse ad agire, infatti, potrebbe tuttalpiù portare ad una declaratoria di cessazione della materia del contendere, giammai ad una declaratoria di inammissibilità per fatti sopravvenuti all’iscrizione a ruolo dei ricorsi.  Le pronunce, inoltre, si pongono in insanabile contrasto con l’art. 11 delle preleggi, ai sensi del quale “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Tale interpretazione, inoltre, si pone persino in contrasto con l’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.

A ciò si aggiunga che la ritenuta efficacia retroattiva della norma porterebbe, senza alcun dubbio, alla violazione del principio di tassatività delle cause di decadenza e di inammissibilità, riconosciuto in tutte le diverse tipologie processuali. 

La sanzione processuale dell’inammissibilità, infatti, deve essere espressamente prevista dal legislatore e non può essere dedotta dall’interprete. 

Il principio di tassatività delle cause di decadenza e di inammissibilità è pacificamente riconosciuto come uno dei principi cardine del nostro ordinamento ed è comune a tutte le giurisdizioni (civile, penale, amministrativa, tributaria e contabile). 

Sul punto esiste un orientamento a dir poco granitico: “Il mancato invio dell’invito a dedurre non solo non determina ipotesi di improcedibilità dell’azione, ma non comporta nemmeno ipotesi di nullità o di inammissibilità dell’azione medesima, vigendo nel nostro ordinamento il principio della tassatività delle ipotesi suddette, nessuna delle quali è legislativamente prevista per l’atto in questione” (C. Conti Sez. II, 16/02/1998, n. 67) “Il principio di tassatività è applicabile non solo in materia di nullità, ma anche in materia di inammissibilità, con la conseguenza che detta causa d’invalidità può essere ritenuta solo quando la espressa previsione o comunque la inequivoca formulazione della norma lo consentano” (Cass. pen. Sez. III, 10/10/2000, n. 3152).

Conseguentemente, non sembra consentito all’interprete attribuire alla norma una portata retroattiva non espressamente sancita dal legislatore.

Da una prima lettura, quindi, si ritiene che il comma 4 bis dell’art. 12 D.P.R. 602/73, può porsi in contrasto con gli articoli 24, 77 e 111 della nostra Carta Costituzionale.

Conclusioni

Essendo evidente la necessità di tutelare il contribuente, è opportuno che gli addetti del settore, i quali, verrebbero travolti da declaratorie di inammissibilità in tutti i giudizi frattanto incardinati dovrebbero sollevare la questione di legittimità costituzionale in seno ai propri atti introduttivi (ricorsi, appelli ed appelli incidentali), all’uopo chiedendo alla competente Commissione Tributaria la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale nei seguenti termini:

“rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, co. 5, DPR 602/1973, così come introdotto dall’art. 3 bis, DL 145/2021, sia direttamente, per contrasto con gli artt. 3, 23, 24, 25, 53 e 97 della Costituzione, sia per norma interposta per contrasto con gli artt. 2 e 19, Dlgs 546/1992, ed art. 100 c.p.c., nella parte in cui, nel limitare la diretta impugnabilità del ruolo e della cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata ai soli casi in cui il debitore che agisca in giudizio dimostri che dalla iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 o, infine, per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione, realizza:

Nella pratica

Nelle more della pronuncia del Giudice delle Leggi, è, altresì, consigliabile, prima di procedere all’impugnazione di ruoli/cartelle di pagamento non validamente notificate:

In quest’ultimo caso (silenzio/rifiuto autotutela) si richiama il recentemente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza 181/2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente (cfr. Cassazione nn. 20200/2020, 21146/2018 e 5332/2018).

Il sindacato del giudice tributario sul provvedimento di diniego dell’annullamento dell’atto tributario divenuto definitivo è consentito, nei limiti dell’accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute; deve invece escludersi che possa essere accolta l’impugnazione dell’atto di diniego proposta dal contribuente il quale contesti vizi dell’atto impositivo che avrebbe potuto far valere, per tutelare i propri interessi, in sede di impugnazione dell’atto, prima che divenisse definitivo (cfr. Cassazione n. 24033/2019).

Atteso che il ruolo/cartella di pagamento non sono mai stati notificati ed atteso che, alla luce della nuova disposizione, non sono direttamente impugnabili, non v’è dubbio che sussista un interesse generale meritevole di tutela.